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STORIA DEI GLADIATORI

 

 

 gladiatori

 

Nel Museo di ricostruzione e sperimentazione archeologica del Gruppo Storico Romano si può ammirare, posto nell’area nord-est della sala, l’area dedicata ai Gladiatori.

Nel corso dei secoli si è molto parlato di questi personaggi e dei ludi gladiatorii cercando di comprendere i motivi per i quali la società di quel tempo ne fosse tanto attratta; infatti, nonostante la povertà dilagante, il popolo accorreva in massa ad assistere ai giochi gladiatori.

Sebbene sia difficile recuperare l’idea del romano medio che assisteva ai combattimenti, il fatto che l’Impero romano sia punteggiato da anfiteatri e altre strutture in cui si svolgevano i munera è un’indicazione di quanto questi spettacoli facessero presa sulla popolazione romana.

Il contesto sociale dei secoli in cui sono esistiti i combattimenti tra gladiatori era senz’altro diverso da quello odierno dove la violenza di alcuni sport viene spettacolarizzata ma, entro certi limiti.

All’epoca la società era assetata di sangue, desiderosa di veder celebrare la morte, rappresentata in uno spettacolo che traeva la sua origine proprio da essa.

In origine, i combattimenti erano organizzati in occasione dei funerali di illustri personaggi o per la loro commemorazione, a spese dei familiari, allo scopo di immolare vittime agli Dei.

Alcune decorazioni paretiali in tombe di Paestum e Capua fanno pensare che l’origine dei munera (dono votivo e/o offerta funebre) sia da attribuire alle popolazioni sannitiche.

I romani trasformarono i combattimenti e le rappresentazioni di forza, dei sanniti, svolti in rare ed importanti occasioni, in tutt’altra cosa.

Entusiasti di queste competizioni, le importarono nella loro società trasformandole in avvenimenti agonistici di particolare violenza, il più delle volte sadici. Dopo l’annessione del Sannio a Roma, la lotta tra guerrieri in un arena divenne lo sport nazionale.

Erano nati i Gladiatori.

Essendo, però, l’epoca così lontana, non sono pervenute sufficienti testimonianze, né le notizie giunte da testi latini sono complete, per avere un quadro preciso e ben definito del mondo dei Gladiatori; infatti, c’è da precisare che le fonti scritte non descrivono mai dettagliatamente gli spettacoli degli anfiteatri, in quanto sono sempre menzionati per inciso, nel contesto più ampio di altre questioni.

Inoltre, i reperti archeologici rinvenuti non sono completi e comunque risultano limitati in proporzione alla durata dei giochi gladiatori che sono esistiti per ben sette secoli; dato il lungo lasso di tempo, bisogna catalogare e dividere le informazioni pervenuteci, tenendo presente i periodi storici e l’egida dei diversi imperatori che hanno sancito la spettacolarizzazione dei ludi gladiatorii.

Da ricerche effettuate per allestire l’area dei Gladiatori nel Museo, si è attinto a vari testi e visitato altri Musei che possedevano testimonianze di gladiatori.

Da queste ricerche è stato tracciato un profilo di quello che oggi pensiamo possa essere l’icona del gladiatore di duemila anni fa.

  

 hermes

TESTIMONIANZE STORICHE

 

Il primo munus svolto a Roma avvenne presso il Foro Boario nel 264 a .C., organizzato dai nobili fratelli Marco e Decimo Giunio Bruto per commemorare la morte del padre.

Da allora i munera ebbero un enorme successo tanto che pochi decenni dopo, nel 216 a .C., in occasione dei funerali di un importante uomo politico, furono più di 40 i gladiatori che si affrontarono in combattimento, mentre furono più di cento a scendere in arena per le esequie di Publio Licinio nel 183 a .C..

Il crescente interesse che questo genere di rappresentazioni riscosse, in ogni ceto sociale, fece si che lo spettacolo divenisse per i cittadini un divertimento di sangue e per chi li organizzava un mezzo di propaganda politica, tanto da  perdere così nel tempo la loro funzione legata al culto propiziatorio o commemorativo per trasformarsi, poi, in “spettacolo”.

Quindi gli aristocratici e soprattutto gli Imperatori, per imbonirsi le masse, si prodigavano ad offrire spettacoli sontuosi, immortalati nei versi degli scrittori latini del tempo: Svetonio, Tito Livio, Giovenale, Marziale ed altri ancora.

“Panem et Circenses” scrisse Giovenale.

Letteralmente significa “pane e giochi” ma lo scrittore latino, lasciava intendere con una certa ironia, un concetto  diverso, ovvero la volontà dell’Imperatore di distrarre il popolo dai veri problemi da cui era afflitto con la distribuzione di generi alimentari, bagni e terme pubbliche da un lato, gladiatori, belve esotiche, corse coi carri, competizioni sportive e rappresentazioni teatrali dall’altro. Insomma, un vero strumento nelle mani degli Imperatori per sedare i malumori popolari, che col tempo ebbero voce proprio in quei luoghi di spettacolo.

La popolarità dei giochi divenne tale che anche l’oggettistica di uso quotidiano risentì di questa nuova passione (vasellame, mosaici ecc.).

I combattimenti dal principio si svolgevano in prossimità delle tombe dei defunti da commemorare o nelle piazze dei Fori, ma per il numero crescente di spettatori che vi accorrevano fu necessario costruire appositi edifici adatti allo svolgimento degli spettacoli.

Gli architetti concepirono perciò delle costruzioni estremamente funzionali allo scopo: gli anfiteatri (theatron = spazio destinato agli spettatori, e amphi = che corre tutto intorno), dapprima in legno poi in muratura. Il più famoso e il più grande di tutti fu l’Anfiteatro Flavio (il Colosseo) a Roma, i cui lavori di edificazione iniziati sotto l’imperatore Vespasiano nel 72 d. C., furono terminati dal figlio Tito nell’80 d. C., che per l’inaugurazione offrì giochi che durarono 100 giorni con notevole impiego di gladiatori e animali (venationes).

Il ritrovamento di molti di essi e di strutture che ospitavano gli spettacoli di gladiatori è un’indicazione importante di come questi esercitavano una forte attrazione in quel tempo.

L’organizzatore dei giochi (editor o se a Roma il Procurator imperiale), rendeva noto alla cittadinanza, mediante iscrizioni sui muri delle case, il motivo per cui offriva i munera, i nomi dei gladiatori che sarebbero scesi nell’arena e la loro specializzazione, inoltre precisava se avessero avuto luogo aspersioni profumate (sparsiones), distribuzione di cibo (missilia) o denaro, se nel circo era previsto il velarium a protezione della calura o della pioggia e se lo spettacolo prevedeva anche le venationes. L’organizzatore dei combattimenti gladiatori era chiamato munerarius. La sera prima veniva offerto un banchetto (coena libera) dove i cittadini potevano vedere da vicino.i.gladiatori.
I giochi cominciavano di mattina e seguivano un cerimoniale prestabilito: un corteo rituale (pompa) rendeva gli onori alle autorità o all’Imperatore (se presente). Aprivano lo spettacolo le venationes (se in programma), che si protraevano fino all’ora di pranzo. Queste cacce potevano prevedere lotte tra uomini e animali o tra animali, anche legati tra loro. Complesse scenografie riproducevano ambienti esotici o mitologici. Nell’intervallo avevano luogo le esecuzioni dei condannati a morte, molto gradite dal pubblico, dove persone inermi venivano fatte sbranare dalle fiere (damnatio ad bestiam) o immolate nei modi più barbari, crocifisse, arse vive e così via. Alla ripresa pomeridiana avevano luogo i ludi gladiatorii veri e propri. Un combattimento con armi inoffensive serviva al riscaldamento dei gladiatori. L’editor dava quindi inizio ai combattimenti tra le urla della folla entusiasta e il baccano dei musici che accompagnavano lo svolgersi dei giochi. I primi gladiatori a scendere nell’arena erano gli equites. Più coppie si affrontavano contemporaneamente (gladiatorum paria). Se qualche gladiatore non si batteva con sufficiente impegno, veniva sollecitato a colpi di frusta (lora) dai loraii presenti nell’arena.

La vita del gladiatore sconfitto dipendeva dall’editor, il quale valutava l’impegno messo nel combattimento ascoltando gli umori del pubblico presente e tenendo conto delle spese sostenute per l’affitto dei gladiatori e che per questo spesso graziava. In ginocchio davanti al vincitore, lo sconfitto attendeva il verdetto offrendo la gola e la propria spada, se si era battuto male la folla gridava: “iugula” (sgozzalo) e, l’editor o se era presente l’Imperatore, girava il pollice verso il basso, se si era battuto alla pari riceveva la grazia (missio) con il famoso pollice levato in alto. I morti venivano portati in una sala denominata spoliarum attraverso la porta libitinaria da inservienti mascherati da Caronte(1).

Al termine il vincitore riceveva la palma della vittoria oltre a doni preziosi; il premio più ambito però era la spada di legno, rudis(2), che significava la fine della carriera e quindi la riconquistata libertà.

Con l’affermazione del Cristianesimo ebbe inizio il declino dei combattimenti gladiatori, soprattutto dopo l’editto di Beirut, emesso da Costantino nel 325, furono aboliti i munera sine missione (combattimenti fino alla morte) e vennero introdotti i lavori forzati. L’Imperatore Onorio nel 402 abolì definitivamente i combattimenti. Secondo altre fonti, l’ultimo spettacolo dei gladiatori si ebbe nel 438 d.C. e fu l’imperatore Valentiniano III, a vietarli definitivamente. Dopo fasi alterne il sipario calò così anche sul Colosseo, nel 523 d. C. dove si svolsero  le ultime venationes.

 

ICONA DEL GLADIATORE

 

All’inizio del III sec. a.C. i combattimenti gladiatori venivano strettamente associati ai sanniti, quando per “samnes” si indicava una particolare armatura gladiatoria. In seguito furono introdotti altri tipi di categorie come quella dei Traci, importati da Silla ed i Galli (successivamente denominati nelle categorie gladiatorie Mirmilloni) grazie a Giulio Cesare.

Fino alla fine del II sec. a.C. i termini “gladiatore” e “sannita” erano sinonimi.

I Gladiatori (da gladio=corta spada) erano per lo più prigionieri di guerra, schiavi, liberti, criminali condannati a morte, ma anche uomini liberi che, attratti dalla possibilità di ingenti guadagni, decidevano di diventare Gladiatori (auctorati). Scarse notizie si hanno circa le donne che scendevano in arena. Questi uomini appartenevano al lanista (impresario), il quale traeva il proprio profitto affittandoli per gli spettacoli. Il prezzo variava a seconda della qualità dei combattimenti e al grado di preparazione fisica richiesta. L’editor si impegnava inoltre al risarcimento di quei gladiatori che morivano nel combattimento.

Vivevano in apposite caserme, dove formavano delle familiae gladiatoriae, che oltre agli alloggi avevano una piccola arena per gli allenamenti svolti con i doctores (allenatori). A Roma esistevano quattro caserme: il Ludus Dacicus, il Ludus Gallicus, il Ludus Matutinus (dove risiedevano i venatores e i bestiararii, gladiatori specializzati nei combattimenti con animali) e il Ludus Magnus le cui rovine, vicine al Colosseo, sono ancora oggi visibili.

La tradizione popolare e la cinematografia classica ci hanno rappresentato i combattimenti come qualcosa di estremamente truculento e dall’esito sempre mortale, ma la realtà doveva essere sicuramente ben diversa visti i costi sostenuti per mantenere e allenare i morituri, e ancor più per i costi sostenuti dagli editores per offrirli al pubblico. E’ perciò probabile ritenere che la loro morte nell’arena non fosse così frequente, eccezione fatta per quei combattimenti denominati munera sine missione; la folla che accorreva per vedere i propri beniamini ne voleva poter ammirare la bravura e la prestanza fisica. Nei mosaici rappresentanti le pugnae (combattimenti) compaiono sovente scritti i soprannomi dei gladiatori, questo a significare l’affezione del pubblico durante tutta la carriera dei propri campioni. I più famosi arrivarono a combattere circa quaranta volte nell’arena. La loro prestanza fisica inoltre non sfuggiva alle nobildonne romane, meritandosi l’appellativo di suspiria puellarum. Un episodio che ben sintetizza il fanatismo dei sostenitori verso i propri idoli è dato dalla rissa che scoppiò nel 59 a. C. nell’anfiteatro di Pompei tra “tifosi” locali e nocerini. Gli incidenti iniziati durante un combattimento tra gladiatori, provocarono morti e feriti cosicché lo stadio fu squalificato per 10 anni.

 

  

(1) CARONTE

 

Il Caronte era colui il quale si accertava della morte del Gladiatore sconfitto, dandogli il colpo di grazia nel caso era ancora in vita. Utilizzava per ciò una mazza o martello ed aveva il volto coperto da una maschera. Dopo aver assolto al proprio compito, caricava il corpo su di un carro o lo legava dai piedi trascinandolo via, verso la porta Libitinaria, ovvero l’uscita per i gladiatori uccisi.

 

 (2) RUDIS

“Rudis” è un gladio in legno che veniva utilizzato in allenamento per evitare ferimenti gravi nell’apprendimento dell’ ars dimicandi (arte del combattere). I Gladiatori della Scuola Gladiatori Roma ritengono, in base alla ricostruzione sperimentale, che fosse un mezzo utilizzato per la fase di riscaldamento prima di usare i gladi in ferro e per meglio apprendere le varie tecniche di combattimento.